The OA, la serie tv Netflix complicata ma semplice, incomprensibile ma sensata, tutto e il suo contrario, un prodotto che purtroppo non avrà, almeno nel futuro prossimo, nessuna risposta alle tante domande che si pone e ch illude lo spettatore convinto di star guardando un capolavoro seriale.
Oggi ci occuperemo di un prodotto seriale molto difficile da recensire per tantissimi motivi che portano qualsiasi spettatore a non capire bene cosa ne pensa lui stesso della serie che ha appena visto, stiamo parlando di The OA.
The OA è una serie Netflix che, innanzitutto, è stata concepita per cinque stagioni, ma ne sono state prodotte solo due, quindi il primo punto a sfavore, per così dire, è il mancato finale e la mancata spiegazione di una serie dalla trama intrinseca. È un prodotto drammatico, thriller e soprattutto di fantascienza ideato da Brit Marling, giovane talentuosa attrice, sceneggiatrice, regista e produttrice cinematografica che interpreta anche la protagonista e collabora per la terza volta con Zal Batmanglij che si occupa della regia.
La trama generale narra la storia di Prairie Johnson che ricompare dopo essere scomparsa per sette anni. Prairie torna dopo anni di assenza totalmente cambiata. Due dei più grandi cambiamenti sono il fatto che si definisca il PA (in lingua originale OA) e soprattutto torna a vedere nonostante sette anni addietro fosse completamente cieca. Prairie non racconta a nessuno quello che ha vissuto per gli anni in cui è stata via, tranne che ad un gruppo di cinque persone che ha reclutato chiedendo il loro aiuto per salvare altre persone scomparse che sostiene di poter salvare aprendo un portale verso un’altra dimensione.
Di base, la storia di The OA è molto complessa a primo impatto. La produzione durante le prime puntate pone lo spettatore subito davanti a tutte le carte che dovranno poi essere spiegate nel corso della serie e collegate logicamente. Il pubblico viene dunque immerso direttamente in una storia di sperimentazioni e non se ne capisce neanche il genere televisivo probabilmente fino alla fine della prima stagione. The OA è tutto e non è niente, si contraddice da sola e proprio quando pensi di aver capito dove va a parare succede qualcosa che ti manda di nuovo in confusione tanto da non saperla spiegare nemmeno, il che da una parte è buono perché non è scontata, ma risulta anche incomprensibile.
The OA offre un’esperienza di morte e resuscitazione, fa toccare allo spettatore con mano quello che è il destino. Anche nelle seconda stagione è così incentrata su ciò che è destinato, appaiono nuovi personaggi come l’investigatore privato Karim Washington ma si ritrovano ancora una volta a parlare di angeli e altre dimensioni come nella prima stagione. Un senso, vista così, lo ha, quello che non si capisce, probabilmente non essendo finita è letteralmente metà della storia. È resa mistica, sia dalla sceneggiatura che dalle scelte registiche, banalmente basta pensare ai gesti che fanno i personaggi per attivare il loro potere, che sembra più una danza contemporanea, ma questa sensazione mistica sembra non essere abbastanza completa da far cadere il pubblico nella sua possibile esistenza.
La struttura degli episodi è un continuo ribaltamento narrativo, persino i titoli di testa e la luce tutto a fine episodio hanno proprio questo significato. La prima stagione termina con un finale aperto che suscita curiosità nonostante fosse stato concepito come il termine della serie, e, probabilmente, sarebbe stato meglio così dato che Netflix ha deciso di cancellarla proprio quando si cercavano risposte a tutto quello che ci avevano buttato in faccia. Infatti, la seconda stagione inizia come esplicativa, la figura di Karim Washington da questo punto di vista è molto importante perché ci aiuta a capirci qualcosa in quanto anche lui si trova immerso in questa storia completamente irrealistica.
Grandi punti a favore della serie, però, sono la recitazione e la regia che riescono ad offrire un capolavoro a livello visivo, molto dettagliato e curato alla perfezione. Meno dettagliata però rimane la caratterizzazione di alcuni personaggi chiave come Elias Rahim ed Elodie che risultano portatori di buchi di trama, ma questo credo sempre a causa della mancata produzione di altre stagioni che la trama stessa necessitava.
In conclusione: The OA è un serie che interessa soprattutto una fetta di pubblico amante delle storie mistiche, filosofiche e metafisiche. Riesce a tenere lo spettatore incollato allo schermo perché basta saltare un minimo tassello del puzzle e non ci si capisce più niente, solo ci si fa ancora più domande. È un buon prodotto perché non è mai scontato, è particolare, ricorda serie entrate nella storia come Sense8 e Dark, da modo di ragionare sulle cose, sul tipo di umanità utilizzata, su ciò che è bene e ciò che è male, sulle stranezze.
Ciò che confonde, ahimè, è il mancato finale che fa risultare l’intera serie insensata perché incompleta, in quanto lascia lo spettatore in sospeso, esso può immaginare come potrebbe finire la storia ma rimane un qualcosa di soggettivo, che potrebbe anche starci, se non se ne vedesse palesemente l’incompetezza nel finale della seconda stagione. Dunque è una serie che poteva avere un grande potenziale, probabilmente più di Dark e dei suoi viaggi in mondi paralleli e salti temporali, ma purtroppo rimane fine a se stessa nonostante la buona struttura del mondo seriale creato e del tempo e gli ottimi spunti di riflessione rispetto agli avvenimenti misteriosi nel prodotto.
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