You, il guilty pleasure thriller che scava nel profondo della psiche, del rapporto con la figura femminile e dei traumi del protagonista Joe Goldberg, interpretato da Penn Badgley, tra follia, tossicità e sentimenti d’amore portati all’estremizzazione.
In occasione dell’uscita su Netflix della terza stagione della serie televisiva You, ne approfitto per fare un quadro generale su un prodotto seriale di grande successo, andiamo quindi ad analizzare la serie per intero.
You è una serie tv thriller psicologica prodotta da Berlanti Productions, Alloy Entertainment, Warner Bros. Television, e A&E Studios, disponibile sulla piattaforma streaming Netflix e ideata da Greg Berlanti e Sera Gamble che prendono ispirazione dai romanzi You e Hidden Bodies della scrittrice Caroline Kepnes. La serie è composta per il momento, quindi è ancora in corso di produzione, da tre stagioni e trenta episodi complessivi da poco meno di un’ora circa.
La trama racconta gli eventi della vita del nostro protagonista, Joe Goldberg, nonché i suoi relativi pensieri più profondi. Joe è un ragazzo di New York molto timido, silenzioso e introverso, all’apparenza un ragazzo tranquillo che ama i libri e vive per loro, addirittura vive per la loro cura oltre che per la loro vendita e la lettura. Eppure, Joe nasconde oscuri traumi e segreti che verranno fuori man mano nel corso della serie grazie all’aiuto della figura delle ragazze di cui crede di innamorarsi. Lo potremmo descrivere come un Ted Mosby thriller, ecco.
Bando alle ciance, la costruzione narrativa di questo prodotto seriale parte col botto e, purtroppo, è come se si fosse lasciata andare nel corso delle stagioni. All’inizio, durante la prima stagione, l’atmosfera è sempre molto tesa grazie a quello che vediamo: le sessioni di stalking, l’ossessione, la violenza causata da una gelosia impetuosa non solo fanno sì che si possa studiare la psicologia dei personaggi, quanto danno spunti di riflessione a livello sociale e individuale perché, siamo realisti, chi non è mai stato così ossessionato da qualcuno da controllare costantemente i suoi social? Chi durante un momento di gelosia non ha pensato, anche inconsciamente, di far del male al rivale?
Nella seconda stagione si cambia ambiente ma si rinnovano le stesse abitudini del protagonista, però vediamo ben presto come è in realtà stavolta è un crescendo di eventi e di scoperte che non si limitano per niente e caratterizzano in maniera psicologica anche personaggi che, poi diverranno anch’essi protagonisti, addirittura, in determinate occasioni e per più della metà della terza stagione.
Sì, sto parlando di Love Quinn che verrà messa, o meglio, si metterà, in una posizione, nel corso degli eventi e nella costruzione del suo personaggio, di essere di estrema importanza e rilevanza pari a quella di Joe. E sì, perché stavolta non abbiamo solo un protagonista che manda avanti l’intera serie spingendo e forzando gli eventi a causa delle azioni che compie date, appunto, dalla sua caratterizzazione, questa volta troviamo una reazione completamente inaspettata e anche piacevole da Love, personaggio che credevamo essere una marionetta come Beck ma che in realtà è un Pinocchio che diventa umano, ed ecco anche spiegato perché Love Quinn è il personaggio migliore della serie e perché è anche il personaggio più affine a Joe.
Purtroppo, questo idillio narrativo, verrà smontato nell’ultima stagione uscita. Perché? Perché ahimè non viene effettivamente dato senso alla reazione proprio di Joe all’evento che rompe l’equilibrio e la nuova vita che si era andato a creare. Viene a calare, come se non seguisse più il copione precedente del suo carattere, non è lineare, come scritto a sé stante, ricominciato da capo.
Anche il personaggio di Love verso la fine della terza stagione viene reso fin troppo ripetitvo nelle azioni e negli atteggiamenti che compie, ben reso è però il suo rapporto col passato e il fratello Forty. È comunque la stagione dell’incoerenza mascherata da paura di ammettere chi si è in realtà, a partire dalle reazioni del protagonista nei confronti del suo doppio, il suo capire e conoscere le persone viene praticamente distrutto perché non mostra l’empatia necessaria se non egoisticamente, cosa del tutto fuori dalla portata di Joe che ha comunque in un certo modo un senso di giustizia tutto suo.
Per finire poi ad un elemento che, per quanto potesse essere educativo, in un certo senso è stato costruito male nel discorso e non si amalgama alla serie. Sto parlando della sensibilizzazione ai vaccini e al pensiero pro vax contro i no vax. Sembra una critica sociale del tutto forzata in questo contesto e incoerente nel momento in cui vediamo il non rispetto della vita del prossimo da ben tre stagioni per poi sentire la predica sul rispetto della salute degli altri.
È giusto sensibilizzare ed educare, sono pur sempre prodotti di comunicazione, solo sarebbe meglio farlo coerentemente con la storia costruita, perché se proprio si vuole istruire a qualcosa con questa serie si può benissimo optare sul fenomeno sessista, dati i comportamenti soprattutto del protagonista nei confronti delle donne che riporta un po’ il ricordo a titoli di cronaca nera che conosciamo benissimo e sentiamo tutti i giorni.
Un particolare che You conserva per tutte le stagioni, in ogni caso, è la coerenza del senso di giustizia, come dicevamo poc’anzi, del protagonista che sappiamo aver vissuto un’infanzia difficile, piena di eventi traumatici per un bambino e che, oltre a sviluppare il senso di possessione a causa della figura della madre, ha sviluppato anche un senso di protezione nei confronti di chi è socialmente più debole: Paco nella prima stagione, Delilah e Ellie nella seconda e la new entry che tra l’altro renderà possibile la quarta e prossima stagione Marienne con sua figlia Juliet.
Questa è una critica sociale possibile, appunto, e lo spettatore la vede ancora più intensa tra la seconda e soprattutto nella terza stagione in cui verrà immerso in una società di privilegiati ed egoisti che non rispettano nessun altro se non i propri bisogni da ricchi e disonesti che infondo trattengono più segreti di quanto non ne abbia Joe, a partire dalla famiglia Quinn a finire a Ryan, l’ex marito di Marianne o la famiglia Eagler o i Conrad addirittura.
Inutile negare sia comunque una serie un po’ trash, ma è lo stesso trash che vediamo in prodotti come Pretty Little Liars, un trash nel cinquanta percento di dialoghi, ma, fondamentalmente, non in un storia che, per quanto tutti possono criticare come surreale, è in realtà più che attuale perché la follia non è niente di astratto.
Sicuramente un velo di fantasia c’è, ma è un qualcosa che vediamo tutti i giorni, la vendetta, la gelosia e soprattutto la serialità di eventi criminali che non vengono trattati, sventati o risolti, basti pensare al fatto che uno dei più famosi serial killer americani, il cosiddetto Zodiac (di cui esiste un incredibile film) è stato riconosciuto proprio quest’anno dal 1968 e dopo la sua morte, dunque You non è poi così impossibile o inconcepibile.
Per quanto riguarda la parte tecnica: la costruzione della fotografia e degli eventi è sempre parallela. La luce e il contrasto, le ombre sin da subito, appena aperta la scena, suggeriscono allo spettatore il tono dell’azione e quello che vuole suscitare, come le scene nella “gabbia” che suscitano claustrofobia in un ambiente totalmente neutro o le scene ritenute peccaminose, tradimenti e crimini di vario tipo in cui il contrasto è più evidente, la luce cala e le ombre si fanno più intense al contrario delle scene romantiche, o che suscitano tranquillità dell’equilibrio del mondo seriale costruito.
La regia con i suoi movimenti di camera sui dettagli, lenti a volerli proprio integrare nella narrazione e il montaggio, considerando anche i flashback dell’infazia del protagonista e delle stagioni passate rendono appunto questa introspezione psicologica ancora più viva, tanto da far quasi entrare il pubblico nella psiche del personaggio a cui si sta rapportando e giocare allo psicologo, se non a sviluppare, comunque, un grado di conoscenza empatica non indifferente.
La recitazione sembra molto in linea comunque con tutta la serie, abbiamo Penn Badgley nei panni proprio di Joe Goldberg che riesce al meglio ad esprimere espressivamente i pensieri e gli atti del personaggio, incuriosisce e sembra normale nella sua pazzia, Victoria Pedretti interpreta Love e c’è da dire che oltre alla bellezza mozzafiato questa donna ha un gran talento recintativo che non può che migliorare col tempo ed è esteticamente perfetta per il personaggio che interpreta, inoltre Shay Mitchel e infine Tati Gabrielle che io, personalmente, ho conosciuto con The 100, ma che probabilmente tutti conoscono per aver interpretato Prudence in Le terrificanti avventure di Sabrina, ed ecco che vediamo proprio per questo il potenziale di questa donna che sì, probabilmente nei ruoli da villain o dark risulta più d’impatto, ma riesce a creare atmosfera anche nel ruolo di Marienne.
In conclusione: You è una serie che ha una storia appassionante in cui, però, vengono descritti dialoghi molto trash che la rendono un guilty pleasure da non prendere poi così tanto seriamente, ma che riesce a dare, almeno nelle prime due stagioni, un’interessante caratterizzazione psicologica e sessuale ad almeno due personaggi, i più importanti. A livello tecnico è sicuramente fluente e significativa e anche bella da vedere esteticamente.
Il prodotto tratta critiche prima all’esposizione personale sui social, un punto di partenza del prodotto si può dire, e poi ai ceti sociali economicamente più avvantaggiati e privilegiati, ma quello su cui si sofferma è la rappresentazione dei sentimenti senza letteralmente alcun limite né mentale né legale, si descrive l’amore, la passione, la gelosia, l’ossessione e la possessione in maniera travolgente anche se tossica e sono trattati esattamente come, effettivamente, noi li percepiamo, come se i nostri sentimenti prendessero vita e impetuosi ed esagerati si sprigionassero anarchicamente.
Anche se purtroppo non tutti i personaggi vengono caratterizzati allo stesso modo e risulta ridicola in alcuni dialoghi, la serie You è perfetta come prodotto d’intrattenimento leggero e continua ad incuriosire lo spettatore per il finale aperto che lascia e i colpi di scena che riesce a regalargli, ci si chiede costantemente cosa ci si potrebbe aspettare adesso nella prossima parte della serie e si spera che torni ad affascinare come ha affascinato la prima stagione, con una costruzione più dettagliata di tutti i personaggi e soprattutto di quello rimasto in sospeso di Marienne e scoprendo chi è, effettivamente, Joe Goldberg, l’uomo perfetto, il good boy dal lato oscuro più marcio che ci sia, o meglio, farlo ammettere a lui stesso.
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