The Haunting: i racconti sulle insicurezze del singolo

The Haunting, la serie tv che attraverso la narrazione horror ci presenta in realtà uno specchio personale ricco di traumi individuali di ogni singolo uomo che li affronta quotidianamente.

Da qualche giorno, ho avuto il dispiacere di terminare una serie che mi ha lasciato parecchio soddisfatta, sia da un punto di vista tecnico ma, soprattutto, dal punto di vista narrativo, tanto da farmi mettere a piangere, dunque, andiamo ad analizzare: The Haunting.

La serie che stiamo trattando è un horror antologico nato nel 2018 e terminato nel 2020. The Haunting, infatti, è costituita da due stagioni, la prima che tratta i racconti di Hill House e la seconda quelli di Bly Manor. È creata e diretta da Mike Flanagan ed ogni stagione è ispirata a un differente romanzo o racconto dell’orrore. È un prodotto Netflix e le due stagioni si trovano sulla piattaforma con i rispettivi nomi Hill House e Bly Manor.

The Haunting of Hill House

La prima stagione della serie è ispirata a L’incubo di Hill House, il più celebre romanzo datato 1959 della scrittrice statunitense Shirley Jackson, già rappresentato cinematograficamente con i film Gli Invasati e Haunting-Presenze. Travalicando i confini del genere horror, il romanzo della Jackson si avvicina per eleganza a capolavori della ghost story come Il giro di vite di Henry James e ispira grandi autori contemporanei come Stephen King.

Racconta la storia di una famiglia, i Crain, che dopo aver trascorso del tempo nella villa comprara dai genitori e aver affrontato una tragedia a seguito di diversi fenomeni paranormali, quindici anni dopo si ritrova a dover affrontare un lutto che sembra esser collegato a quello stesso avvenimento dovendo affrontare i loro demoni e i loro traumi.

In questa prima parte della serie il tempo della serie è un flashback continuo. Avvengono sbalzi temporali continui tra l’evento passato, avvenuto negli anni ’80, in cui i protagonisti erano solo dei bambini, alternandosi con quello presente in cui conosciamo i personaggi come adulti e vediamo come affrontino le tragedie che hanno vissuto.

Questo influisce ovviamente anche sul tono e sulla caratterizzazione dei personaggi, scritti nel minimo dettaglio e con i quali lo spettatore riesce perfettamente non solo ad immedesimarsi, magari per carattere e modo di agire, ma anche e soprattutto a creare un vero e proprio legame con loro influenzando anche la suspence che il pubblico prova già normalmente tra le ambientazioni tetre e i jump scare inaspettati che Mike Flanagan ci offre con questo prodotto seriale.

A prova di ciò, possiamo vedere come la struttura della prima parte di The Haunting sia stata fatta prima per far conoscere dando un tono meno ansiolitico ma più emotivo ma comunque dare rilevanza ai personaggi in sé e poi sfociare, a metà serie, in una lotta continua col paranormale, molto più attiva. Infatti, ad ogni personaggio della serie viene dedicata una puntata per i primi cinque episodi facendoli poi incontrare tutti nel sesto regalandoci attimi di tensione e sofferenza che da qui in poi crescerà man mano e lo vedremo anche nell’utilizzo della macchina da presa e delle scelte registiche di Flanagan che va ad intensificare i movimenti di camera.

I piani sequenza, il montaggio delle scene, la recitazione stupefacente e l’atmosfera cupa che ci regalano fotografia e scenografia che ci portiamo dall’inizio della serie fanno sì che sia un crescendo di emozioni legate sia ai personaggi, grazie al modo in cui ci hanno fatto affezionare così velocemente ad essi, sia le emozioni legate alla situazione che stiamo vedendo vivere loro carica di traumi comuni a qualsiasi essere vivente, paure che la società ci ha inculcato inconsciamente nel tempo e paure individuali rispetto al passato e anche al futuro.

Mike Flanagan, con The Haunting, si ispira tanto al modo di raccontare di Stephen King (lo abbiamo visto anche con Il gioco di Gerald e Doctor Sleep in cui però, a parer mio, non è riuscito al meglio nel suo intento) nei suoi romanzi dell’orrore in cui la psicologia è ciò che fa più paura. Mi spiego meglio: non è tanto il jump scare o il paranormale in sé a dare sensazione di terrore a questo prodotto, quanto più raccontare le debolezze e paure comuni dell’uomo in quanto individuo in grado di ricordare, renderlo fragile, vuole riportarlo coi piedi per terra e farlo riflettere.

The Haunting of Bly Manor

La seconda stagione della serie di The Haunting è ispirata a Il giro di vite, il racconto sui fantasmi o novella dell’orrore scritto da Henry James adattato al cinema dal film The Innocents del 1961.

Racconta la storia di una giovane americana che viene assunta in Inghilterra come istitutrice di due bambini rimasti orfani in custodia allo zio che però per una serie di cose preferisce non vivere con loro e dunque li affida allo staff dell’immensa tenuta in cui vivono. Tutti a Bly Manor hanno registrato gravi traumi nel corso della loro vita, legati anche all’ex personale della villa e presto, avvenimenti soprannaturali confoderanno su ciò che è reale e ciò che è un ricordo riaffiorato malamente come sogno.

Il tempo in Bly Manor è assai più lineare rispetto a quello di Hill House. Si apre con le prove di un matrimonio al quale una donna, tra un bicchiere di vino e l’altro, racconta la storia che ci viene presentata da Flanagan linearmente fino alla fine in cui vi è un unico flashback per svelare l’identità ignota della donna che abbiamo conosciuto all’inizio che ci narra questa vicenda di amore e morte continuo come un ciclo infinito che la tenuta vive.

Come infatti, la tenuta di Bly Manor ha assorbito nel corso del tempo oggetti, sentimenti e le anime degli abitanti, anime che in vita, per la maggiore, hanno avuto un storia d’amore travagliata e finita male in qualche modo. Questo è il tema principale della serie, l’amore, quello cercato e quello capitato, quello familiare e quello di una famiglia scelta. Molto interessante, a proposito, di famiglia è la scelta di dare ampiezza alla famiglia tradizionale di porre il pubblico davanti ad una famiglia non di sangue in primis e ad una coppia omosessuale che sarà quella che più do tutte farà versare lacrime nella serie.

Il ritmo procede esattamente come in Hill House, sarà tutto molto più soft rispetto agli ultimi episodi in cui la stagione scoppierà in una velocità dei movimenti della narrazione stessa provocando nello spettatore un’esplosione di emozioni che ha incanalato durante la prims metà e che escono fuori di botto verso la fine grazie alla produzione tecnica di Mike Flanagan.

Bly Manor è esattamente questo: un viaggio nei sentimenti e nelle emozioni fatto attraverso la suspence. È crescita dei personaggi ma soprattutto dello spettatore stesso. È introspezione personale tra traumi infantili assimilati inconsciamente e traumi che abbiamo subito con piena coscienza che possiamo controllare o che non riusciamo a dimenticare, a soffocare e prevalervi.

In questa parte di The Haunting, probabilmente, la metafora che si nasconde dietro il paranormale, i fantasmi, la paura dell’ignoto, è molto più marcata. Racchiude l’essenza del lato oscuro di ogni essere umano e la necessità di chiedere aiuto nel momento del bisogno per non cadere in una trappola mentale che non ci farà più vivere una vita normale e serena.

Mike Flanagan ha deciso di riutilizzare la presenza di alcuni attori presenti nella prima stagione della serie, come Victoria Pedretti, protagonista in entrambe le parti, Carla Gugino, Oliver Jackson-Cohen e Henry Thomas. Ma per quanto possano essere sorprendentemente professionali e assolutamente capaci e talentuosi di esprimere emozioni e coinvolgere il pubblico, personalmente, avrei voluto vedere delle novità più che un riciclaggio in una stagione comunque analogica, dunque senza connessioni con Hill House.

Per fare il punto: The Haunting è una serie horror con una grande valenza. Mike Flanagan magari non sarà in grado di spaventare a livelli esagerati ma sicuramente sa come mettere ansia e far stare sulle spine il pubblico grazie alla sua grande tecnica registica perfetta per prodotti gotici come questo. I racconti non risultano mai pesanti, la sceneggiatura è ricca di dettagli che compongono la struttura della psicologia di ogni personaggio della serie. Riesce ad essere angosciante, intima e amorevole allo stesso tempo senza cadere mai nel trash o nell’imbarazzante. È la serie horror di cui non sapevamo di avere effettivamente bisogno.

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