Strappare lungo i bordi di Zerocalcare – La vera rivelazione del 2021?

Il fumettista Zerocalcare, pseudonimo di Michele Rech, ha fatto il suo debutto ufficiale sulla piattaforma Netflix il 17 novembre del 2021 con la sua miniserie animata “Strappare lungo i bordi” e in pochi giorni è entrato a gamba tesa in cima alle classifiche italiane e estere.

La trama riprende, in parte, la storia raccontata nel film La profezia dell’armadillo, che fu presentato alla 75ª Mostra del Cinema di Venezia nel 2018, e nel quale Zerocalcare aveva il volto di Simone Liberati, ma questa volta è accompagnata dal suo inconfondibile stile.

La scrittura è articolatissima, ricca di metafore efficaci, aneddoti e digressioni, che vengono inseriti in maniera organica e continuativa e si riallacciano sempre all’azione principale. Ognuno di questi aiuta nella costruzione dei personaggi, dettaglio dopo dettaglio, un mattone alla volta, ed allo stesso tempo porta con sé i temi fondamentali attorno ai quali ruota l’intera vicenda.

L’aiuto delle animazioni è fondamentale per rendere la dinamicità della scrittura ed elevarla ulteriormente: il medium è stato sfruttato in tutto il suo potenziale per rendere al meglio le macchinazioni ed i grovigli che invadono la mente di Zero.

Ci teniamo particolarmente a segnalare una chicca del lavoro di animazione, al quale hanno partecipato anche studenti ed alunni dell’università fiorentina The Sign. La serie ha l’aria di un vero e proprio documentario, grazie alle scene in cui lo Zero narratore parla direttamente alla telecamera, come se si trovasse in un confessionale, il cui sfondo cambia ad ogni episodio: lo zoom manuale su Zero narratore, l’effetto di messa a fuoco, Zero che afferra la telecamera e la sposta per inquadrare l’armadillo nel quinto episodio (“io appunto tutto”), dettagli fondamentali che aiutano a separare il narratore dal personaggio di Zero, l’eroe, nella dimensione della storia.

Strappare lungo i bordi di Zerocalcare

È perciò chiaro accorgersi del perché la serie sia stata osannata dalla critica e dagli spetatori fin dall’inizio, che ne hanno riconosciuto la grandezza in tutte le sue sfumature, eccetto una: il doppiaggio in romano. Critica secondo il parere della Landa totalmente infondata: sempre più spesso si preferisce guardare un anime o una serie in lingua originale, anche sottotitolato, per poterne cogliere tutte le sfumature, perché il doppiaggio “non rende”. Eppure, se si tratta di una serie doppiata in dialetto si storce il naso.

Sin dall’unità d’Italia i dialetti sono stati vietati, ridicolizzati e bastardizzati; il romano in particolare, come molti altri, è da sempre considerato rude, scurrile e “comico”, facendo la sua comparsa su medi e grandi schermi solamente come indicatore di ignoranza per le spalle comiche (da cinepanettone tamarro, per intenderci). Ma i dialetti rimangono parte fondamentale dell’identità nazionale, delle nostre radici, e ritrovarsi una serie tutta in romano, che risulta erudito e affronta temi di grande spessore, un certo effetto lo fa.

Strappare lungo i bordi di Zerocalcare

Ma non temete, il dialetto romano non sarà sicuramente un ostacolo, data la presenza di sottotitoli in italiano, e la natura stessa della serie che, essendo animata, rende chiare e fruibili tutte le metafore, le espressioni, e le associazioni di idee che arricchiscono la serie.

Impossibile ignorare la moltitudine di riferimenti storico-culturali, espliciti e non. Segnaliamo in particolare una battuta che si apre con la frase “Tutto va per il meglio nel migliore dei mondi possibili”, e che viene ripresa il maniera costante lungo l’intera durata della serie: “Tutto procede secondo i piani, a parte che puzzo de piscio, so’ sporco de grasso, avemo bucato ‘na rota, tra quaranta minuti parte il treno, e noi stamo sotto casa di Secco che non scende”, un cenno a l’opera “Candide ou l’optimisme”, nella quale Voltaire muove un’aspra critica contro la filosofia di Rousseau, secondo la quale il nostro sarebbe il migliore dei mondi possibili, appunto.

ANALISI DELLA SERIE

“Strappare lungo i bordi” è una serie tutto sommato breve, contando un totale di sei episodi della durata di venti minuti ognuno, perciò deve essere in grado di colpire e catturare il pubblico fin dai primi istanti. E così è stato: l’episodio pilota della serie è densissimo e strutturato alla perfezione, tanto che solo dopo dieci minuti lo spettatore si sente totalmente immerso nel mondo di Zero, e perso nella narrazione.

Zero ci accompagna, quasi prendendoci per mano, lungo il viaggio della sua vita, mostrandoci episodi sconnessi che sembrano avere uno scopo puramente comico, presentandoci situazioni e piccoli dettagli secondari che, al contrario, risultano poi fondamentali per legare l’intera storia.

L’episodio pilota si apre su un muro di mattoni che ostenta la scritta “È inutile che vivi fuori se muori dentro”, che, tra l’altro, è possibile trovare su una vera parete, a Rebibbia. L’inquadratura segue una generica zanzara romana, che va a spiaccicarsi dritta su un vetro; allora l’inquadratura si allarga, mostrandoci la scena nella sua interezza: un autobus arrivato al capolinea, la fila di gente che aspetta di salirvici, il cartello “Rebibbia” sulla fermata, mentre la povera zanzara scompare del tutto, e non sarà mai più rivista. Se lo meritava.

Strappare lungo i bordi di Zerocalcare

Già dai primi istanti ci vengono presentati i due temi fondamentali attorno ai quali ruota l’intera serie: la morte, e l’irrilevanza e limitatezza dell’individuo.

La Landa è certa che chiunque abbia guardato la serie possa cogliere il motivo della morte senza aver bisogno di ulteriori spiegazioni.

Per quanto riguarda il tema della finitezza, la serie ne è intrisa, seppur in modo celato, nel modo in cui l’armadillo si intromette continuamente nella narrazione di Zero per dissonare, correggere, puntualizzare: il narratore si rivela in questo modo inaffidabile, sin dal primo episodio, e quest’idea viene decisamente rinforzata dal fatto che l’armadillo, coscienza di Zero, sia l’unico personaggio a non essere doppiato da Zero stesso. (Una parziale ammissione di ciò è la dichiarazione “[…] e da quell’angolazione tutto il mio mondo era un pezzo di finestra e un lampione”, nel secondo episodio, molto semplice da interpretare anche sul piano figurativo, e poi il cenno nel terzo episodio “D’altronde, del fatto della ragione che ‘e nostre vite se fondassero su assunti traballanti, ce stava già qualche indizio sparso qua e là.”)

Il viaggio fisico che Zero intraprende con Sarah e Secco corrisponde ad un viaggio nella sua mente, fatto di aneddoti e ricordi, e reminiscente dei romanzi del ventesimo secolo (un esempio è Mrs Dalloway di Virginia Woolf). Il viaggio fisico viene spinto in secondo piano per la gran parte della serie, fino al quarto episodio, quando Zero è costretto a confrontarsi con il riflesso nello specchio del cesso del treno, che prende la forma dell’armadillo, e a rivelare che sta deliberatamente evitando di pensare alla loro destinazione: “Madonna che accollo! Sì, sì, lo so, lo so […] perché sennò devo pensà a do’ stamo a annà.”

Strappare lungo i bordi di Zerocalcare

La seconda presa di coscienza di Zero avviene nell’ultimissimo episodio, quando, fuori dalla palestra dove si sta tenendo Il Funerale, Sarah gli molla uno schiaffo dietro la nuca, una botta in ciocca, e quando Zero apre gli occhi ode gli angeli cantare ed una voce che non sia la sua. Da questo momento tutti gli altri personaggi acquistano la propria voce, e Zero acquisisce una prospettiva più ampia e meno soggettiva sugli eventi narratici nei precedenti episodi.

La voce di Alice, distorta da un riproduttore vocale, è un altro indizio di come questo personaggio in particolare venga visto sempre dalla prospettiva limitata di Zero, che la presenta come una persona solare tramite ricordi prevalentemente positivi (viene in mente la sua frase “Ci vuole un po’ di speranza”, tra le altre).

Un esempio a nostro avviso lampante si trova nel secondo episodio, che ci presenta i garbugli mentali che Zero si fa pur di non rispondere ad un messaggio di Alice (“metti ch’era un accollo”). Il pensiero di Alice viene spinto in secondo piano, sepolto dalle digressioni su tweet, social e caricabatterie. La questione, però, viene posta sotto una luce completamente diversa nell’ultimo episodio, rivelandosi un punto di svolta fondamentale.

I motivi dell’indecisione, del dubbio e del rimpianto sono onnipresenti: dal rapporto con Alice (il balletto equilibristico, il seminare e non raccogliere mai), a questioni più frivole e mondane, come quella della pizza ‘sto cazzo, episodio tre, e della ricerca di serie Netflix da guardare (“Dai, su, se su ottomila film non te ne va bene manco uno, forse sei te che non vai bene”), primo episodio. L’aneddoto della pizza ‘sto cazzo del terzo episodio porta ad una tetra ammissione: “Quindi poi rimango a pensa’ a come ho sprecato la mia vita pe’ la paura di fare certi passi e ho preferito rimane’ attaccato alla routine del mio pantano paludoso, distruggendo le relazioni che avevo intorno.”, un’idea ulteriormente esacerbata dall’affermazione dell’armadillo, “Sei cintura nera de come se schiva la vita.” (episodio cinque).

Strappare lungo i bordi di Zerocalcare

I macro temi dell’indecisione e del rimpianto celano dei timori più specifici: la paura del rischio, il rifiuto del cambiamento, il libero arbitrio. Arriviamo così, finalmente, alla metafora su cui si basa l’intera serie, quella che le da il titolo e la sigla: la linea tratteggiata.

La metafora della linea tratteggiata è di grande efficacia, e riesce a risuonare a fondo nonostante, in sé, non sia altro che pura astrazione. Questo perché a dimostrarci la sua veridicità c’è una vicenda estremamente concreta, che ci lascia qualche indizio qua e là, per poi arrivare ad un punto di svolta nel quarto episodio: “Io pe’ questo mandavo i curriculum, pe’ convincermi che la vita mia stava ancora seguendo quella riga tratteggiata. Ma strappavo senza guardà perché c’avevo er terore che se abbassavo l’occhi, vedevo che invece mi stavo a allontanà dalla guida, che stavo a strappà tutto a cazzo, e che quel foglio stava a diventà sempre più un casino.”, e culminare nell’apice del finale.

Strappare lungo i bordi di Zerocalcare

La ritroviamo poi nel quinto episodio, quando zero incontra Valentina, una delle due ragazzine topo a cui faceva ripetizioni, che si è laureata in lettere ed ha intrapreso una carriera non diversa da quella dello Staf della Locanda. Zero va in crisi rendendosi conto di non essere andato avanti di un passo durante gli ultimi dieci anni: “[…] perché se tu ti tieni lo stesso foglietto de carta in mano pe’ diec’anni, pure se no’o strappi, quello se ciancica. […] E il risultato è che, dieci anni dopo, in mano c’hai comunque ‘na cartaccia da buttà, pure se hai giocato a fa’ la statuetta de cera.”

Nello stesso episodio abbiamo la frase “[…] e magari le vediamo così perfette perché le guardiamo da lontano.”, che si riallaccia perfettamente alla questione di Alice, a come, dall’esterno, Zero non è mai arrivato a cogliere i suoi stati d’animo, i suoi tormenti, o anche i suoi sentimenti nei confronti di Zero stesso.

Il finale di Strappare Lungo i Bordi è realisticamente agrodolce, dall’aria quasi placida, che contrasta con l’affanno emotivo che caratterizza la maggior parte del sesto episodio. Sarah ricorda a Zero della conversazione avuta nel 1995, trent’anni prima: “Ma ‘nte rendi conto de quant’è bello? Che non porti er peso der mondo sulle spalle, che sei soltanto un filo d’erba in un prato? Non te senti più leggero?”, che però non riesce a cancellare il dolore della perdita. L’intero viaggio è servito a mettere un punto, innanzitutto, che aiuterà la guarigione della cicatrice.

Strappare lungo i bordi di Zerocalcare

E anche per oggi, dalla Locanda Della Landa è tutto.

Negli episodi precedenti della Locanda della Landa:

Pose: vivi, sfoggia, posa

Over The Garden Wall – la Cartoon Network che incontra Tim Burton e il Sommo Poeta – Recensione e Analisi (2021)

What if…? – Marvel. Concept interessante, ma la riuscita?

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