Sakè – La mia prima volta

Sakè, quella dannatissima volta in cui decisi di provare il più famoso alcolico Giapponese


Era da tempo che non decidevo di mostrare un po di dolore sul sito, vero? Tra Mogu Mogu (Trovate la mia esperienza qui) e sushi scrauso (un articolo qui) avrete potuto vedere tanta sofferenza provenire da me. Ah si, giusto, tornerò presto con le rubriche con Sandygast non preoccupatevi.

Saké E Shochu Saronno - Murataya Trattoria Giapponese

Era il 28 Dicembre 2019, in quei periodi ero salito a Roma per uno dei raduni del gruppo Whatsapp di cui prima o poi vi parlerò. Ero al secondo giorno a Roma e volevamo mangiare tutti sushi, dunque dopo esser usciti dalla Metropolitana prenotammo in un ristorante che non citerò per evitarmi denunce di sorta, ma il cibo era terribile. Non quanto quello nell’articolo linkato su, perlomeno questo era possibile ingurgitarlo senza dover ricorrere ad una lavanda gastrica.

Arrivati ad un certo punto del pranzo, totalmente a caso, dopo un discorso toccante ai miei commensali decisi di fare la proposta: “Ragazzi, perché non beviamo tutti sakè e brindiamo alla nostra amicizia?”. Bene, signor*, mai scelta fu più sbagliata.
Ricordo il momento in cui ci portarono il tutto, sembravamo tutti estasiati e felici nonostante si fossero scordati il mio dannatissimo ramen e ci avessero portato del sushi al cetriolo che non aveva ordinato nessuno. Perfino il ragazzo vegetariano che era con noi non sapeva di chi fosse, a stento oggi cerchiamo di voler ricordare quello schifo con buona volontà.

Non ho fortunatamente foto di quel Sakè, ma la mia prima esperienza non è stata così esaltante come si crede. Pensavo e speravo fosse dello stesso colore di quello su, bianco, invece era di un colore giallognolo: sembrava dell’urina o della camomilla, a voi l’ardua sentenza sfruttando l’immaginario.
L’odore era simile a quello di acqua calda in cui hai buttato dentro il Tachifludec e sono sicuro che fosse quello mixato con alcol etilico.

Brindiamo, beviamo tutti il primo sorso e… praticamente quasi tutti lo hanno lasciato. Io ricordo avessi accanto del cibo e di averlo quasi rovesciato per terra, esclamando “Santoddio, ma hanno urinato all’interno di questi bicchieri?”. Non ho mai più bevuto Sakè da quel giorno ma fidatevi che sono pienamente sicuro che quello non fosse l’amatissimo alcolico Giapponese e che un qualsiasi abitante Nipponico si sarebbe indignato nel bere quell’intruglio.

Successivamente a quella bevuta, fu fatta una cosa terribile: decisi di bendarmi e mangiare il sushi rimasto facendomi imboccare. Tra una tempura di gambero che stava per cadermi e il sakè nuovamente sotto il mio naso arrivai quasi a interrogarmi sul senso della vita e sul perché io fossi ancora lì, rispondendomi immediatamente arrivai a dire “Just for suffering”. Ebbi nuovamente la prova lampante che quello non fosse sakè, bensì una qualche sorta di mix di acqua piovana, tachifludec e alcol etilico di scarsa lega.

Cosa dire dunque di quel mistico alcolico, se non che spero di provarlo prossimamente e ricredermi a riguardo, ma l’impietoso sakè di Roma potrebbe avermi causato qualche danno intestinale a due anni di distanza, auguriamoci che non sia effettivamente così, o dato dei superpoteri. Se sentite parlare di un imbecille nel Cosentino che spara sakè dalle dita cercatemi, non ve ne pentirete! O forse sì, dipende se arrivo a secernere quella mistura di alcol e odio preconfezionato.


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