Ruthie Fear – Recensione

Ruthie Fear è un romanzo sia un romanzo di formazione che una riflessione sull’ambiente che non vi aspettereste.

Ruthie Fear è nata e cresciuta nella Bitteruth Valley. Vive con suo padre, Rutheford, di cui ha preso addirittura il nome, in una piccola roulotte vicina alla riserva indiana e insieme a lui osserva il mondo che ha sempre conosciuto cambiare. Il padre le insegna a sparare, le insegna la vera caccia, le insegna a essere una fiera abitante del Montana e a odiare tutti quelli nuovi che arrivano, costruiscono e rovinano ciò che gli sta attorno. Ruthie Fear crede di sapere tutto sugli animali della sua valle, d’altronde sono stati gli indiani stessi a presentarglieli, ma quando vede uno strano uccello senza testa “simile a un rene” le sue certezze iniziano a vacillare, insieme al suo mondo.

Ruthie Fear è un romanzo difficile da collocare in un unico genere letterario. Tra romanzo di formazione e romanzo ecologista, l’inizio e la fine del libro si tinteggiano di elementi new-weird che permettono di annoverare questa uscita Black Coffee anche tra i fantasy. Di difficile definizione, la storia di Ruthie Fear potrebbe però essere definita “forte”, come la sua protagonista.

Un romanzo americano come se ne leggono pochi, che parla dell’America sperduta, delle riserve indiane e di come le armi vengano usate in maniera diversa da puristi e giovani teppisti. Un romanzo che parla della rovina della provincia americana, dell’industrializzazione, della commercializzazione, ma anche un romanzo che parla di una donna, Ruthie Fear, in tutte le fasi della sua vita.

Ruthie Fear mi ha colpito in una maniera inaspettata

Quando mi è stato detto che questo mese avrei letto un romanzo ecologista sono partita scoraggiata e ho votato Ruthie Fear perché speravo che la componente formativa del romanzo mi alleggerisse il contenuto che tanto mi angoscia. Non è stato così, la lettura non è stata leggera, ma non mi pento della scelta fatta: sono molto felice di aver letto questo romanzo di formazione, è infatti stato per me impossibile non affezionarmi al personaggio di Ruthie.

L’autore, un uomo, è incredibilmente abile nell’accompagnare la giovane Ruthie in tutte le fasi della sua crescita. Questo essere selvaggio, nato da chi ha dato con mano la morte all’ultimo lupo della valle, è la speranza per il futuro della valle, e continua a esserlo per quasi tutto il libro. Capiamo chiaramente il momento in cui la vita si mette in mezzo, per Ruthie Fear, il momento in cui inizia a prendersi gioco di lei e a toglierle l’animo ribelle che l’ha caratterizzata fino a quel momento, portandole via tanto, troppo, e non permettendole di godersi quello che ha.

Lo spaccato del Montana viene raccontato con una tale dovizia di particolari da far sì che sembra di essersi presi una vacanza per accompagnare Ruthie Fear nel suo viaggio alla scoperta del rapporto tra uomo e natura. La Bitteruth Valley viene presentata senza pietà, nelle gioie e nei dolori, rivelandosi sempre molto vera e accurata. Ci sono posti che si desidera vedere, mentre si legge, e altri da cui si vorrebbe scappare.

Ruthie insegue anche sua madre, il sogno di andarsene, di scappare. Questa ragazza-selvaggia cerca di trapiantarsi a Las Vegas, dove l’uso che fa delle armi è quello sconsiderato che ben conosciamo dai fatti di cronaca. Sembra quasi che questo, a lei che spara e uccide animali dalla prima pagina del libro, la spaventi, tanto da riportarla a casa.

Unica critica va mossa al finale, inaspettato e sconvolgente, davvero meraviglioso, se non fosse che la preparazione a questo momento viene fatta soltanto nelle prime pagine, per cui alla fine del romanzo quasi ci si è dimenticati di quello che ci voleva dire, di quello che, in fondo lo sapevamo, stava per succedere.

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