L’alienista: la serie tv tra i migliori thriller contemporanei

L’alienista, la serie televisiva disponibile sulla piattaforma streaming Netflix che immerge lo spettatore in un thriller psicologico molto interessante, coinvolgente, ben prodotto e bello esteticamente.

La serie che andremo a recensire oggi è L’alienista, una serie tv thriller ispirata al romanzo dell’autore e grande esperto di storia militare statunitense Caleb Carr: The Alienist. La serie, composta da due stagioni e diciotto episodi totali, nasce nel 2018 ed è ancora in produzione. La trama vuole spingere lo spettatore ad analizzare e comprendere quello che accade nella mente di un serial killer attraverso l’ausilio proprio del personaggio dell’alienista.

«Nel diciannovesimo secolo si credeva che le persone affette da malattie mentali fossero alienate dalla loro vera natura. Gli esperti che le studiavano erano pertanto chiamati alienisti.»

La prima stagione è ambientata in una New York ottocentesca, per essere precisi è il 1896. Si apre con la presentazione di una città e un ambiente caotico, caratteristica che, fondamentalmente, ancora conserva la cosiddetta Grande Mela, ma per motivazioni differenti. Infatti, la New York di allora, in piena fase di migrazione e di colonizzazione, si sta ancora praticamente costruendo.

Vediamo palazzi in costruzione, attività che iniziano a formarsi e soprattutto una vastità di culture che si stanno impiantando in America grazie al grande sogno americano che più che altro si è trasformato in un incubo a causa delle indigenti condizioni di vita poco dignitose, facendo emergere le differenze tra classi sociali. La New York di oggi è, invece, molto caotica a causa dello stile di vita molto frenetico e della produttività della popolazione.

Di cosa parla la prima stagione de L’alienista? Beh, le condizioni sociali molto precarie portano alla prostituzione diversi ragazzini e addirittura bambini di sesso maschile. Degli omicidi tra questi destano il sospetto alla polizia locale che non si tratti di morti causali, ma piuttosto di omicidi attuati da una sola persona, si inizia dunque a parlare in città di un serial killer che colpisce questa categoria nello specifico.

A questa notizia, collaborano nelle indagini al fianco del capo dipartimento Theodore Roosevelt, interpretato da Brian Geraghty, i tre personaggi principali della serie: l’alienista Laszlo Kreizler, che si accinge a studiare a distanza la mente dell’assassino in base ai suoi movimenti sugli omicidi, il suo amico illustratore John Moore e Sara Howard, la segretaria del dipartimento di polizia, una donna sveglia, ribelle e rivoluzionaria per vivere a fine ottocento.

La seconda stagione, innanzitutto, aggiunge un sottotitolo che cita “L’alienista: l’angelo delle tenebre”, sempre ispirandosi ad un romanzo di Carr. L’incipit è sempre lo stesso ma stavolta è ambientato un anno dopo e vede come protagonisti degli omicidi dei neonati. In un anno parecchie cose sono cambiate. Kreizler incrementa i suoi studi psicologici, si introduce l’ipnosi, ma le sue pratiche vengono comunque ancora messe in dubbio; Moore è diventato un importante giornalista, anche grazie alle sue conoscenze sociali e la Howard è ora a capo di un’agenzia investigativa.

I tre dopo il primo caso si erano dunque allontanati per costruire le proprie carriere e con l’occasione di questo nuovo avvenimento si riavvicinano dopo la condanna della persona sbagliata: la madre di una bambina assassinata, considerata pazza in quanto esprimeva il suo dolore nell’aver perso sua figlia, così come spesso accadeva alle donne del tempo giudicate come folli e con problemi psichici e isteriche solo perché eprimevano dei dispiaceri, in sostanza.

I tre si ritrovano proprio per protestare, fondamentalmente, contro quest’ingiustizia e se già nella prima stagione avevamo percepito la solida presenza della figura femminile, che però era rappresentata solo da Sara Howard e ci si incentra di più sul tema della pedofilia, del classismo e in parte anche del razzismo, in questa seconda stagione ci troveremo di fronte all’inizio vero e proprio di un movimento femminista che finisce per essere quasi centrale nella storia. Questi temi sono ovviamente contestuali ma volgono sicuramente a sensibilizzare il pubblico.

La differenza sostanziale tra la prima e la seconda stagione de L’alienista è la narrazione. Infatti, se nella prima stagione conosciamo di più la novità psicologica e riusciamo a vedere in molte scene come Kreizler stesso scava addirittura anche dentro se stesso, nei suoi traumi e nella sua psiche, nella seconda stagione, a parte far riferimento all’incredulità attorno alla psicologia e al fatto che non fosse effettivamente ancora ritenuta una scienza, l’elemento psichico quasi è solo accennato e rientra nei temi marginali come il femminismo.

La narrazione vede più protagonista proprio la Howard e, mentre nella prima stagione vediamo delle percentuali ben bilanciate di racconto su questi tre personaggi principali, nella seconda stagione tutto ruota intorno alle indagini e quindi al personaggio di Sara creando degli intrecci e delle sottotrame proprio tutte intorno a lei. Diventa più thriller che psicologico.

Per quanto riguarda la parte tecnica di tutta la serie, vale a dire regia, fotografia e montaggio c’è da dire che quasi tocca la perfezione, per quanto mi riguarda. Soprattutto nella prima stagione, molte scene girate dal regista Jakob Verbruggen sono estremamente curate ed artistiche. Verbruggen, infatti, riesce a sfruttare l’ambiente circostante, gli oggetti presenti, per creare delle riprese che diano l’atmosfera adatta alla scena. Sono particolarmente dettagliate infatti le scenografie e i costumi in modo da far immergere lo spettatore nella storia il più possibile e di utilizzare il set proprio come una macchina del tempo e riportarlo a fine 1800.

Anche la fotografia fa un bel lavoro di suggestione. Gioca tantissimo con le luci, con la sua freddezza e l’intensità del nero nei suoi colori, innanzitutto perché si tratta di un thriller ed è giusto che l’ambiente circostante sia strutturato come tale, e poi perché è caratterizzante del periodo in cui è raccontata la storia. Rispetto alla seconda stagione si nota il cambiamento di regia, curata stavolta da David Caffrey, ma rimane comunque un ottimo lavoro di direzione in grado di soddisfare esteticamente l’occhio del pubblico.

La recitazione in L’alienista non si è proprio mantenuta. Abbiamo tre attori che spiccano in maniera eccellente: Daniel Brühl, Luke Evans e Dakota Fanning, tutti e tre eccezionalmente professionali. Riescono totalmente ad esprimere emozioni e tonalità della scena (soprattutto nella seconda stagione in cui i ritmi della prima parte sono molto lenti per poi esplodere in un’accelerazione alla scoperta del killer che, nonostante sia prematura, rimane piacevole e desta tensioni) e anche l’elegante linguaggio utilizzato nei copioni con una naturalezza impressionante, proprio come se appartenessero a quei tempi e utilizzassero questo modo poetico di parlare tutti i giorni.

In sostanza: L’alienista è un prodotto seriale dalle grandi risorse. Lo spettatore rimane visibilmente affascinato grazie alla particolare regia e ai curati dettagli come scenografie e costumi. Cala leggermente la visione psicologica della trama nella seconda stagione. Effettivamente, rimane come fosse un sottotema e non viene sviluppato a dovere facendo abbassare, purtroppo, anche la caratterizzazione del personaggio di Keizler, che da proprio il nome e il concept della serie, sembrando poco sviluppato.

Nonostante ciò, la serie accenna ad importanti nozioni storiche e piscologiche portando lo spettatore alla curiosità e all’informazione. I punti di forza, oltre al concept sono proprio i dettagli tecnici che vanno a produrre la serie tra cui una recitazione magistrale, e se mi permettete di esprimere anche un mio specifico gusto: sono rimasta incantata, come sempre, dall’interpetazione di Dakota Fanning che credo abbia un talento innato sin da quando era solo una bambina (vedi, tra i tanti, Nascosto nel Buio con De Niro).

In ogni caso, è un prodotto che consiglierei a chiunque e che ha molto potenziale, mantiene dei toni abbastanza seri essendo un poliziesco, quindi non è concepita la distrazione ma rimane piacevole da vedere. Si spera, però, che in una terza stagione sia in realtà il thriller ad essere più laterale rispetto, appunto, alla conoscenza del lavoro dell’alienista e che si compia magari un lavoro alla Mindhunter, ad esempio, sui serial killer stessi.

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