Un hotel impazzito: la storia di “Shining”
“Shining” è un capolavoro incompreso di Stephen King, uno di quei libri che mette d’accordo gli amanti dell’horror e quelli dei classici, che vuole sperimentare ma allo stesso tempo mantenere i piedi ben saldi nella tradizione.
Innanzitutto, troviamo un inizio in medias res che ci porta sulle scene una famiglia a dir poco al di fuori del comune: Jack Torrance è uno scrittore alcolizzato e violento, Wendy una casalinga in un perenne stato di ansia e super protettiva nei confronti del figlio Danny, un bambino di cinque anni con un’età cerebrale che potrebbe addirittura superare quella dei genitori.
Il termine “Shining”, in italiano reso con “luccicanza”, fa riferimento ad una qualità propria di quest’ultimo personaggio: la capacità di andare oltre l’apparenza, di penetrare i pensieri di coloro che lo circondano, addirittura anticipandoli, a volte. I tre si trasferiscono in un hotel chiamato “Overlook”, situato sulle montagne, in quanto Jack trova lavoro come guardiano durante il periodo invernale. Il leitmotiv dell’Hotel maledetto incarnato dall’Overlook è fondamentale nella storia, perché è qui che i personaggi tirano fuori fobie, paure, vizi.
Se la famiglia aveva raggiunto un equilibrio prima di partire, in questo luogo si sfalda tutto: Jack ridiventa un uomo violento ed egoista, dipendente dai medicinali, le paure di Wendy si fanno più nitide e talmente forti da trasmetterle al figlio, la cui “luccicanza”, qui dentro, impazzisce.
Inoltre, da un punto di vista più “tecnico”, la struttura temporale è il pezzo forte del romanzo, e probabilmente frutto del sottovalutato talento di King: non ritroviamo linearità, in quanto la storia è intervallata da capitoli in cui si riporta il lettore nel passato dei protagonisti. Ma non finisce qui: la difficoltà del romanzo si ritrova nell’utilizzo di una specie di “flusso di coscienza”, per cui la narrazione si interseca coi pensieri dei personaggi, nei quali il lettore assiste a dei veri e propri voli pindarici, a delle associazioni mentali che richiedono un tipo di lettura concentrata e accurata.
Per aggiunta, l'”horror” si concentra soprattutto nell’ultima parte, in cui il romanzo trabocca di di illusioni, allucinazioni e sogni: il tutto è sapientemente mischiato con la realtà, creando un mondo parallelo all’interno dell’Overlook completamente sommerso in un’atmosfera onirica.
In conclusione, sebbene “Shining” possa essere etichettato come “horror”, in realtà va oltre, portandoci all’interno di una narrazione profonda e complessa. Consiglio, quindi, di lasciar perdere le etichette e godervi questo libro!
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