Interviste – Marco Champier

Interviste – Marco Champier


Nell’intervista di oggi andiamo a vedere le risposte date da Marco Champier ai nostri Q&A per la rubrica “Interviste”. Autore di “Storie di vita da nerd”, di cui potrete sapere molto di più seguendo questo link, che ringraziamo principalmente per aver risposto in maniera così esaustiva sia alle nostre domande che a quanto detto nell’articolo precedente riguardo all’articolo che vedeva coinvolto il suo libro. Le risposte così ben articolate hanno solo che da lasciarmi e lasciarci contenti! Perché, si, mi sento in prima persona felice d’aver potuto scrivere e far entrare in “Interviste” tutto il possibile riguardo Marco e di poter postare questo articolo che entra ufficialmente a far parte della nostra omonima rubrica.

Interviste
Interviste – In esclusiva Marco Champier alla nostra redazione

INTERVISTE – LE DOMANDE E LE RISPOSTE DEL NOSTRO AUTORE


1 – Cosa l’ha ispirata nello scrivere il suo libro? Cosa voleva trasmettere ai lettori?

Ciao, per Storie di Vita da Nerd mi ha ispirato la voglia di far ridere. Tra le altre cose faccio anche Stand-Up Comedy e quindi volevo scrivere qualcosa che facesse davvero ridere e ho scelto di parlare di cose che mi sono successe, a volte esasperandole per un puro effetto comico, perché di base erano già divertenti e paradossali.


In realtà non avevo in mente di trasmettere al lettore nulla di più di quello che ho scritto. Non sono partito con l’idea di voler comunicare chissà quale messaggio importante. Certo, dentro il libro, soprattutto nella parte finale, c’è la sublimazione di un periodo in cui ho sofferto, in cui una storia importante e lunga è finita e mi sono trovato a dovermi ricostruire come persona, partendo da cose banali come la spesa o fare la lavatrice, e soprattutto la mia identità.

Quindi è stato catartico scrivere di quell’analisi di me in quel periodo di ricostruzione e dell’analisi di quella lunga storia ormai finita.


Ma non avevo alcuna intenzione di insegnare niente a nessuno. Lo scopo è proprio ed esclusivamente far ridere, vedere le cose che mi sono successe dal lato comico e dissacrante. Poi se qualcuno, oltre la superficie, ha intravisto qualcosa di più, meglio, mi fa contento. Ma non era quello lo scopo.


Così come non era dare una definizione di “Nerd”. Nel libro ci sono io, le mie esperienze, viste attraverso quello che ero io al momento della scrittura.
Niente di universale, niente da scolpire sulla pietra.

È solo ed esclusivamente la mia visione di quelle cose che mi sono capitate. Si possono condividere o meno, possono interessare o meno, ma è quello il bello, magari si apre un dialogo, o magari Storia di Vita da Nerd è solo un punto diverso dal proprio.

L’importante è capire cosa si ha in mano e cosa si sta leggendo, invece di giudicarlo per cosa sarebbe dovuto essere il libro, o come sarebbe dovuto essere scritto o come lo avrebbero scritto altri.


Sì, l’ultimo paragrafo è rivolto proprio alla recensione che avete pubblicato. Giustissimo che non sia piaciuto il libro, ma credo che l’abbiate preso un po’ troppo sul serio, molto più di quanto abbia fatto io, e l’abbiate giudicato più quello che non c’era, piuttosto che quello che effettivamente è: un libro che vuole solo far ridere.

Vi siete arenati sulla parola “Nerd” del titolo, senza andare oltre, dandole un peso che poi nel libro non c’è. Anche perché non era espressamente rivolto ai “Nerd”, ma voleva essere trasversale e fruibile da tutti. Per esempio, mia madre ha riso tantissimo leggendolo.

2 – Ha piani futuri per eventuali nuovi prodotti letterari?

Sì, ho piani e progetti chiusi in un cassetto che viene aperto e chiuso quotidianamente. Mi piace scrivere ed espandere e trasformare quei progetti mentre li porto a compimento.
Da quando faccio Stand-Up Comedy è cambiato un po’ il mio approccio alle cose, ora penso a come portare su un palco e dal vivo quello che scrivo. E soprattutto se è possibile farlo o se invece deve rimanere “solo scritto”.
In tal caso, mi piacerebbe scrivere un romanzo vero, con una storia seria, ma raccontata in modo leggero.

3 – Cosa ne pensa della scena nazionale, e anche non se vuole, nerd? Come pensa si sia evoluta? In bene o in peggio?

Penso che la “scena nazionale Nerd” (ma anche internazionale) non esista più. Quando ero ragazzo io “Nerd” aveva un significato bene preciso e delineava un certo tipo di persone. Ora la parola è stata sdoganata da cinema, televisione e social. Ora tutti sono Nerd e quando tutti sono Nerd, nessuno più lo è.


Certo è un po’ tutto frammentato, c’è chi è più in fissa con i videogiochi, chi con il cinema, chi con manga e anime, chi con i cosplay, chi con altro, ma non si può più dire “questo è Nerd” perché abbraccia un bacino così vasto di utenti tutti così diversi tra loro.


Le “nicchie di utenti” ora sono esplose e non si possono più definire nicchie. Prendiamo i videogiochi: una volta, quando la definizione Nerd aveva ancora senso di esistere, i videogiochi erano esperimenti fatti in casa da un manipolo di pionieri e sognatori che avevano voglia di esplorare una nuova tecnologia, vederne le potenzialità e sfruttarle.

Ogni gioco nuovo che usciva spostava l’asticella della tecnica e della creatività un po’ più in là. Ora sono diventati un prodotto di consumo di massa, si investono milioni di dollari, ci sono studi con centinaia di impiegati che devono affrontare in crunch session a cercare di finire il lavoro entro la data di pubblicazione perché il gioco deve essere lanciato, ogni minuto di ritardo sono soldi che si perdono e quando esce deve incassare miliardi.


Col cinema è lo stesso: una volta se un film andava bene rimaneva mesi e mesi al cinema e poi, forse, facevano un sequel. Ora invece il film deve incassare il massimo che può in poche settimane e viene pianificato all’inizio se dovrà avere due o tre sequel. Non si punta più a fare un bel film, ma si punta a fare un film che deve diventare un franchise.


È tutto diventato un’industria che deve produrre profitti. Sì, è tutto peggiorato dagli anni ’80. Ma è la normale evoluzione delle cos: quando qualcosa tira e comincia ad avere un seguito corposo, deve diventare monetizzabile e nel momento in cui lo diventa significa che è un prodotto di massa.
Quando ero ragazzo io, era tutto più “genuino”. Però magari sono io che sono troppo vecchio.

4 – È appassionato di Trading Card Game? Se sì, quali? Se no, perché e, soprattutto, giocherebbe a qualcuno tra quelli odierni? Quali la ispirano di più?

No, non sono appassionato, anzi. Per una serie di motivi.
Il primo è che sono troppo vecchio per queste cose. Purtroppo.
Ero già “grande” quando ho visto e vissuto il boom di Magic.

Me ne sono tirato fuori appena in tempo, prima di impazzire e cominciare a spendere fantastilioni di petroldollari in carte rare.
Anche perché ho la malattia del collezionista (un modo politicamente corretto per dire che sono ossessivo compulsivo), se comincio una cosa devo avere tutto. Al punto che questa cosa trascende e, nel caso dei trading card game, le carte devo averle per collezionismo e non perché mi servano davvero, quindi rischio di andare alla ricerca di questa o quella carta senza nemmeno giocarci.

5 – Cosa ne pensa delle nuove generazioni e di come si interfacciano al mondo nerd?

Ho parzialmente risposto a questa domanda prima. Dal mio punto di vista alle nuove generazioni non interessa il termine “Nerd” perché per loro quelle cose considerate Nerd sono normali.


Negli anni ’80 dovevi andare a cercare il gioco per il C64, la novità per l’Amiga, quel fumetto o il manga. Una volta leggevi su una rivista specializzata di un film e dovevi sperare che prima o poi sarebbe uscito anche in Italia (in media l’anno successivo rispetto agli USA). Una volta se volevi giocare con la console, andavi a casa del tuo amico che aveva il Nintendo.
Ora è tutto alla portata di tutti perché, ripeto, non c’è più la nicchia di interesse di quella determinata cosa, ma è tutto trasversale e spalmato.

6 – Se potesse scegliere a una singola cosa a cui giocare per tutta la vita, quale sarebbe e perché? Di cosa parla tale gioco?

A occhi chiusi, i due Red Dead Redemption. Se proprio un gioco solo, allora RDR2. È stata un’esperienza emotiva, più che un videogioco. Penso sia stato il gioco che più mi abbia coinvolto e assorbito in vita mia (e di videogiochi ne ho giocati parecchi dal Commodore 64 in poi).


La storia si svolge sul finire del 1800 negli USA, quel periodo di transizione tra il “selvaggio west” e l’arrivo dell’era moderna, in cui un gruppo di fuorilegge sta cercando di sopravvivere al cambiamento. Il protagonista è Arthur Morgan e la sua è un’epopea in cui oltre a scoprire cose su se stesso, scopre che il mondo che ha sempre conosciuto si sta sgretolando, che le regole del suo gioco sono cambiate perché si sta giocando a tutt’altra cosa.

Scopre che quello in cui credeva era sbagliato, che i legami sono falsati dalla sua percezione delle cose e quello che amava era in realtà un falso.
L’ultima cavalcata di Arthur verso il confronto finale è qualcosa di maestoso, mai un gioco mi aveva commosso e emozionato in quel modo.

7 – Legge fumetti? Cosa ne pensa dell’evoluzione della fumettistica italiana, se si? Se no, ha mai pensato di iniziare? Cosa leggerebbe?

Ormai leggo solo Graphic Novel di un certo tipo. La serialità mi ha stufato. Per ovvi motivi di marketing non c’è un’evoluzione vera nelle storie, alla fine si torna sempre al punto di partenza e si ricomincia da capo a ogni nuovo ciclo di storie.

Tutto deve rimanere uguale a se stesso perché il lettore medio vuole quello, vuole la sicurezza di sapere cosa sta leggendo e che alla fine si concluderà come ha previsto, le uniche sorprese che vuole sono nelle singole situazioni, non nell’intero complesso della storia. Per questo i supereroi muoiono e resuscito nel giro di 10 numeri. Nel mondo dei fumetti, la morte equivale a una nostra influenza: stai 10 giorni a letto e poi sei pimpante come prima.


Se poi vuoi sapere se leggo manga, beh, no. Sono troppo lontani dalla mia cultura, non mi appassionano, non riesco a trovarli credibili. E sono l’essenza stessa della serialità, con le situazioni reiterate allo sfinimento.

Certo, ci sono alcune eccezioni, come Mitsuru Adaichi, che trovo molto poetico nella rappresentazione dei sentimenti, ma le sue storie hanno un inizio, uno svolgimento e una fine; Masakatsu Katsura con Video Girl Ai, stessa cosa di Adaichi; Katsushiro Otomo, anche se in Italia abbiamo penato non poco per leggere tutto Akira. Ecco, sì, sono della generazione che ha visto arrivare i manga in Italia, quando si leggevano ancora ribaltati da sinistra a destra.


L’Italia a livello di fumetti è indietro anni luce. Qualcosina sta cambiando e stanno venendo fuori nuovi autori, ma siamo sempre lì, non ci sono investimenti in nessuno che non abbia già un seguito come Zerocalcare e Bevilacqua per citare i primi due che mi vengono in mente.
Se uno vuole fare qualcosa e non ha millemila follower sui social non viene preso nemmeno in considerazione. In Italia va ancora la Bonelli, ma è serialità cotta e mangiata, non riesco più a leggerla.


Ho un caro amico che in Italia ha avuto solo porte sbattute in faccia, in Francia invece lavora tantissimo con le sue opere e lo pagano anche molto, ma molto bene. La sua graphic novel su Gaugin è stata esposta in una mostra dedicata al pittore in giro per l’Europa.

8 – Quali sono i suoi scrittori preferiti o da cui trae ispirazione per scrivere, se ne ha?

Il principale è Stephen King. Sarebbe potuto essere uno dei grandi scrittori del ‘900 se non si fosse fossilizzato sul genere horror. Ha scritto dei libri meravigliosi, non horror, e ha prodotto tanta, troppa fuffa horror.


Ma oltre a lui c’è Michael Ende, un genio dimenticato.
Poi ce ne sono tanti altri, però l’importante a mio avviso è leggere e spaziare nella lettura e nei generi. Non fossilizzarsi su un autore solo, si rischia di leggere sempre le stesse cose senza accorgersene. Fossilizzarsi su un solo scrittore e come vedere il mondo attraverso il tubo interno della carta igienica.

9 – Qual è il suo rapporto con il pubblico, attualmente? Riesce ad interfacciarsi con tranquillità ad esso o fa fatica? Perché?

A me il rapporto col pubblico piace molto. Il pubblico è una delle cose essenziali per quello che faccio e porto un tremendo rispetto per loro. Il rapporto con il tuo pubblico deve essere paritario, si accorgono se li prendi in giro.
Uno dei momenti preferiti è quando dopo uno spettacolo di Stand-Up Comedy scendo dal palco e incontro chi mi ha visto e scambiamo 4 chiacchiere.


Attualmente, tra le altre cose, sto conducendo un Podcast di true crime, insieme a Clara Campi, che si chiama Crime & Comedy (ci sono i video su YouTube delle puntate): parliamo di serial killer e altre cose brutte, col sorriso sulle labbra, e stiamo avendo una risposta dal pubblico che non ci aspettavamo ed è meraviglioso.

Abbiamo fatto un gruppo telegram legato al Podcast e si sta sviluppando una comunity intorno al progetto. Mi piace che chi ci segue non sia lì solo per noi, ma interagiscano tra di loro, accomunati da una passione e adoro interagire con loro e rispondere ai messaggi.


Poi mi piacciono le critiche se sono cotruttive e non distruttive. In genere le prime le ascolto molto più volentieri che i vari “bravo!”. Perché il “bravo!” ti appaga al momento, ma la critica ti stimola a migliorare qualcosa a cui, magari, non avevi fatto caso, è il nuovo punto di vista di cui si ha bisogno per crescere in quello che si fa.
Quelle distruttive le ignoro. Il “mi hai fatto schifo” fine a se stesso, non motivato da un qualcosa, mi scivola addosso.


Ecco, se proprio non mi piace una cosa, sono quelli che con la critica vogliono insegnarti a fare le cose. Ossia la critica non finalizzata a migliorare un prodotto, ma piuttosto a spingerti a farlo come piacerebbe a loro o come vorrebbero farlo loro.

Questo non lo sopporto. È molto facile criticare, non ci vuole niente, ma è difficile rimboccarsi le maniche e fare qualcosa in prima persona. Per esempio con Crime & Comedy arrivano in molti a dirci che: “non si ride di certe cose!”. Perché?! Dove sta scritto?! Se ti approcci a un canale che si chiama Crime & Comedy, allora devi accettare che tra la descrizione di un orribile delitto e l’altra, ci sia dentro anche una battuta, è il DNA del format.

Se questa cosa non ti piace, non seguirlo, guarda altro, non rompere continuamente cercando di far cambiare il “Comedy”, perché non cambia. Sempre tenendo conto che stiamo molto attenti a portare rispetto per le vittime e non scherzare su di loro.


Ma questo tipo di “critica” arriva a 360 gradi su ogni cosa che fai. Chi fa questo tipo di intervento vuole solo insegnarti a fare le cose, non le accetta per quello che sono. Se uno si mettesse ad ascoltare tutto quella che la gente vorrebbe e come lo vorrebbe fatto, non farebbe più nulla perché sarebbe impossibile riuscire a fare qualcosa.
Alla fine credo che bisogna solo imparare ad accettare che non si può piacere a tutti. Una volta capito questo, col pubblico si può avere un rapporto stupendo.

10 – Ha mai comprato qualcosa di estremamente costoso e nerd? Se si, cosa?

Con “estremamente costoso e nerd” intendi “inutile”, giusto?
Sì, quando giocavo a livello agonistico a Tekken, con tanto di tornei internazionali ecc… ho speso uno sproposito per uno stick professionistico che veniva dal Giappone. A parte il costo dello stick in sé, ho pagato le spese di spedizione e di dogana che erano più del valore dello stick. Non sono mai riuscito a usarlo come si deve e l’ho abbandonato dopo un paio di mesi esasperato.


Poi ho comprato un sacco di action figure che sono lì in bella vista nella mia vetrinetta a prendere un sacco di polvere.
Per non parlare dei set Lego, insomma 900 euro per la Morte Nera non mi sembrano così tante… scherzo, non l’ho comprato davvero quel set lego, ma solo perché non avevo 900 euro in quel momento da spendere.

11 – Qual è un consiglio che darebbe a chiunque voglia interfacciarsi al mondo nerd?

Nessun consiglio in particolare, a parte il fatto di approcciarsi “al mondo nerd” solo se si è spinti dalla passione e non perché ci si sente obbligati o si vuole far parte di qualcosa.
O per meglio dire, se si ha una passione, Nerd o meno, bisogna perseguirla a tutti i costi, perché sarà più appagante che costruirsene una sulla carta solo per essere come gli altri.

12 – Qual è il suo rapporto con “Edizioni Underground!”? Cosa ne pensa del loro lavoro?

Il mio rapporto con Edizioni Underground? è fantastico. Sono due ragazzi spinti dalla passione e ci tengono davvero a quello che fanno e ai loro autori. La casa editrice è piccola, ma si muove bene, ha una filosofia, che personalmente apprezzo molto, di stare lontana dal mercato di massa e non alimentare Amazon.


E poi è una casa editrice non a pagamento, una delle poche. Se oggi uno vuole pubblicare qualcosa, in genere, è costretto a pagare di tasca propria un tot numero di copie o contribuire alla stampa, Edizioni Underground? invece investe di tasca propria, magari non con tirature fantascientifiche, ma molto mirate.
Per me è stato molto soddisfacente lavorare con loro.


Interviste – Ringraziamenti

Ringrazio nuovamente Marco Champier per aver risposto alle nostre domande per la rubrica “Interviste” ed aver avuto un modo di porsi che ho apprezzato: tra il critico e il voler esporre il proprio punto di vista, proprio come piace a me. Speriamo di risentirlo e di collaborare nuovamente con lui! Gli auguriamo, inoltre, il meglio per il futuro! Sperando che il suo Podcast possa raggiungere sempre più persone possibile!
Ringraziamo inoltre Edizioni Underground? senza la quale non ci sarebbe stata questa intervista e l’articolo precedente che ha consentito di arrivare a ciò (che vi linko di nuovo)!

Interviste – Marco Champier

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