IL CLUB DELLA SOLITUDINE (SCATOLE PARLANTI, 2021)-RECENSIONE DEL ROMANZO DI DEBORAH BINCOLETTO

Il club della solitudine è una storia di rinascita; il racconto, nato dalla penna di una promettente Deborah Bincoletto, di come Vera arriva a liberarsi dei sensi di colpa nel viaggio verso la (RI)conquista della felicità.

“Tutti credono solo alle lacrime e alle parole, ma la verità è che chi soffre davvero difficilmente riesce a trovare la forza di condividere le proprie emozioni. In genere ci limitiamo a fingere che quella parte di noi non esiste. È molto più facile così. Per questo diffido di chi esagera con le manifestazioni dei sentimenti”

Dopo aver completato la lettura di questo romanzo, gentilmente inviatomi dall’autrice stessa, Deborah Bincoletto, ho riflettuto alcuni giorni sul come impostarne la recensione; da dove partire; a cosa dare più peso; su cosa sorvolare. Il tutto nel tentativo di trovare un equilibrio tra il rischio di sembrare eccessivamente buona nei confronti di chi ha dato fiducia alla mia passione della lettura (che è l’unica competenza che ho; per cui puntualizzo che questo è unicamente un parere da lettrice) e l’idea che non voglio dare di persona dal giudizio facile. Come tutte le cose della vita l’equilibrio perfetto è difficile da raggiungere; io spero almeno di essermici avvicinata. 

Dunque, penso che partirò dalla copertina e da come io ho provato a spiegarmela o più precisamente, dal fatto che, essendo il romanzo in formato digitale, l’ho guardata solo distrattamente all’inizio facendomene frettolosamente un’idea alquanto distorta. 

Alla fine, poi, completata la lettura, ha sentito il bisogno di andare a riguardarla e alla luce di quanto letto ne è venuta fuori una nuova, personale interpretazione simil-pirandelliana e ci ho visto l’immagine di come a volte la vita possa travolgerci con eventi che non abbiamo minimamente previsto e di come essi possano susseguirsi e incatenarsi ricoprendoci ogni volta di una spessa coltre di pece che si sovrappone alla precedente e prepara il terreno a quella successiva. E di come tutto ciò renda progressivamente sempre più difficile mostrarsi agli altri per quello che siamo, “apatizzando” sempre più la nostra visione del futuro e le nostre prospettive verso di esso.

Ma in controtendenza con l’idea di Pirandello, che attribuisce al mondo esterno la colpa delle maschere dietro cui ci nascondiamo (mi scuso a priori per l’analisi così superficiale della poetica pirandelliana),  Deborah col suo romanzo ha voluto sottolineare, o almeno così l’ho vista io, il ruolo salvifico del prossimo. Perché chi ci vuole bene ha il potere di salvarci da noi stessi; dall’annientazione  e dalla depersonificazione a cui ci sottoponiamo per non mostrarci agli altri deboli, per autodifenderci dal loro supporto, dai loro consigli o più banalmente dalla loro commiserazione. Chi ci vuole bene ha il potere di farci desiderare di metter via la maschera e, allorquando non ci riuscissimo da soli, ci aiuta a picconare e frammentare la melma stratificata che impedisce al mondo e a noi stessi di vederci per ciò che realmente siamo. 

Tutto ruota intorno al processo evolutivo che, grazie ai componenti di questo stravagante ed insolito club, si innesca ad un certo punto nella vita di Vera, che ha soltanto 30 anni ma da troppi vive come anestetizzata, in una mediocrità e un grigiore che si autoinfligge. Il club della solitudine è la storia del suo cambiamento interiore, del superamento dei propri limiti e delle proprie paure; è la storia di una persona che fa un viaggio dentro di sé realizzando che per troppo tempo si è sottratta a qualsiasi tipo di emozione e che decide finalmente di venire allo scoperto con la consapevolezza che la felicità debba essere conquistata, arrampicandosi e scalando la montagna di tristezza che la vita le ha rovesciato addosso. E, alla fine, Vera, anche quando finalmente vede la cima e riesce di nuovo a respirare, sa che c’è ancora tanto da fare; c’è la conquista della vera sé stessa, la conquista della propria personalità e il raggiungimento dei traguardi che, ora, è consapevole di meritare. 

Il club della solitudine

Non so quanto di autobiografico ci sia in questa storia; potevo chiederlo, e stavo per farlo avendo l’autrice a disposizione, ma poi ho deciso che non sarebbe stato corretto. Come per qualsiasi altro romanzo ho preferito leggerlo senza sapere quanto di vissuto ci fosse; ho preferito immaginare, ipotizzare, a volte sperare che una cosa bella fosse vera; altre augurarmi che qualcos’altro non fosse capitato davvero. 

Al di là di questo, quello che sicuramente traspare è un forte capacità introspettiva; si percepisce che l’autrice durante la stesura si sia guardata molto dentro ma anche intorno; per cui, a discapito dei non pochi refusi, la storia ben costruita; i personaggi originali anche se a tratti stereotipati (oh ci fosse una volta in cui il protagonista maschile non abbia gli occhi azzurri) sono i principali fattori che spingono il lettore a continuare; a cercare il punto di svolta di una storia che forse ha molto di personale o forse no; ma sicuramente ha l’intento di essere un monito ad andare sempre avanti, a non considerarsi mai del tutto arrivati né irrimediabilmente persi anche se non si è mai partiti davvero, a superare la paura di essere fuori tempo o fuori luogo e a concedersi sempre il diritto di ricominciare. 

Di questo romanzo mi è piaciuta la struttura, lo stile e l’impostazione della scrittura ma anche l’ambientazione e gli eventi che ho trovato abbastanza originali. 

Mi è piaciuta la narrazione in prima persona e l’interazione continua con il lettore che diventa così presente agli eventi.  

Una cosa che non mi è piaciuta è più che altro un fatto di editing (credo!) ed è legata a come sono strutturati i tempi narrativi e la suddivisione in capitoli che per un mio gusto personale avrei preferito più brevi e volti a separare giorni diversi. 

Sono molti i temi affrontati, alcuni ben sviscerati; altri solo accennati. Devo ammettere che non sempre mi sono trovata d’accordo con le considerazioni dell’autrice e penso che alcune tematiche si siano liquidate troppo in fretta e senza mai cogliere il nocciolo della questione ma, essendo la scrittura da sempre una mia grande passione, so bene quanto possa essere difficile far passare dalla testa al foglio le idee e quanto, a volte, rileggendo l’insieme, l’effetto è quello di “ah… Ma non era proprio così che lo volevo dire”.

Quindi, al netto di tutte queste considerazioni, credo che ci siano tutti i presupposti per fare ancora bene, anzi meglio. Anche perché, magari, per approfondire ciò che è stato lasciato in sospeso, un’altra storia bolle in pentola a Deborah Bincoletto e chi sa che a breve non potremo leggere ancora della vite di Vera, Nino, Vanessa e degli altri membri del Club della Solitudine.  

Prima di lasciarvi, per coloro per i quali fossi riuscita nell’intento di incuriosirvi, il libro è edito da Scatole Parlanti nella collana Voci ed è in vendita su Amazon e nei principali store on-line.

https://www.scatoleparlanti.it/prodotto/il-club-della-solitudine/