I miei stupidi intenti – Recensione

I miei stupidi intenti di Bernardo Zannoni, finalista al premio Campiello e vincitore di diversi altri premi è un romanzo da non perdere.

La vita di Archy inizia nel dolore della madre e nella perdita del padre. La sua e quella dei suoi fratelli non è una vita felice, ma una vita che punta al mero scopo di sopravvivere, senza ambizioni o desideri. E anche per Archy è così, finché non conosce Solomon, una vecchia volpe che le rivela la verità su quello che differenzia gli animali dagli uomini, ovvero la conoscenza di Dio.

I miei stupidi intenti è un romanzo particolarissimo, che basa le sue fondamenta sulla storia di formazione del nostro protagonista, ma anche su una serie di insegnamenti filosofici che vuole, più o meno volontariamente, trasmetterci. Le vicende di Archy vengono presentate in toni quasi fiabeschi, ma con una crudezza e un realismo che non ci si aspetta basandosi sull’impronta della storia.

I miei stupidi intenti è un titolo simbolico e, a mio avviso, estremamente evocativo, che può fare riferimento non solo al nostro protagonista, ma anche ad altri dei personaggi principali. Gli stupidi intenti sono quelli di tutti noi, a mio avviso, tutti quegli obiettivi che ci poniamo prima della morte, per fare qualcosa della nostra vita, per non essere dimenticati. Stupidi, perché a cosa sono serviti?

Ma perché questo tono fiabesco e questo protagonista così particolare per un libro dai temi de I miei stupidi intenti?

Un altro tema fondamentale de I miei stupidi intenti è la differenza tra uomo e animale. Se non volete alcun tipo di spoiler – che viene svelato a pagina 1, eh, sia chiaro, ma che secondo me è bene godersi – non leggete oltre finché non avrete letto almeno l’incipit del romanzo su Google Books.

Archy, infatti, è una faina, ma ciò che la rende un animale si ferma più o meno qui. Archy, come tutti i personaggi de I miei stupidi intenti, pensa, agisce, si comporta come una persona a tutti gli effetti, una persona che, come tutti noi umani, non è sempre mossa dalla razionalità, ma alle volte anche dal mero istinto. Dopo il suo incontro con Solomon, il quale ha conosciuto Dio grazie al ritrovamento dell’antico testamento, Archy inizia a patire questa sua condizione di essere inferiore, di animale, e vorrebbe essere un uomo reincarnato proprio come la volpe, senza comprendere che animale e uomo non sono assolutamente così diversi.

Un’altra delle tematiche affrontate ne I miei stupidi intenti che ho particolarmente apprezzato è stata quella di far collimare la parola, la scrittura, il testo, con la Parola, quella di Dio. Archy e Solomon scrivono la propria storia perché “i miei stupidi intenti” sono quelli di rimanere eternamente nella memoria, di non morire ed essere per questo dimenticati. Miei, come quelli della volpe e della faina. I due sono convinti di aver conosciuto e di amare il Signore, ma ciò che venerano, in realtà, è la potenza della scrittura.

Come tutto ciò che è meta letterario questo riferimento alla potenza del libro, della parola, nel ricordo, con me ha colpito nel segno, scaldandomi il cuore. Quella che può sembrare, all’inizio de I miei stupidi intenti, una storia semplice, forse a tratti un po’ violenta per essere una favola, ma comunque adatta anche a un pubblico giovane, durante la lettura si rivela in realtà per la sua natura di Matrioska, nascondendo strati sotto strati di messaggi e sotto testi, che ho apprezzato tantissimo e che, soprattutto, mi hanno fatta riflettere.

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