A sangue freddo – Recensione

A sangue freddo racconta, tramite la splendida scrittura di Truman Capote, un’agghiacciante storia vera: quella della strage di Holcomb.

Come raccontare una strage

A sangue freddo si apre così: novembre 1959, Holcomb, Kansas, dove abita la famiglia Clutter. Herb Clutter, padre di famiglia amato e stimato da tutta la comunità, convive nella sua grande fattoria con la moglie, che soffre di depressione post-partum, e i due figli minori, Nancy e Kenyon, ottimi studenti, impegni anche loro nella comunità nella quale vivono.

I preparativi in corso sono quelli per l’arrivo delle due figlie maggiori dei Clutter a casa per il Ringraziamento. Le cose non potrebbero andare meglio per la famiglia, sembra che Mrs. Clutter sia sulla buona strada per la ripresa e che le cose miglioreranno di giorno in giorno. Se non fosse che il 15 novembre è l’ultimo giorno della famiglia, perché le loro strade si incroceranno con quelle di due ex galeotti che li uccideranno c0sì, a sangue freddo.

Il romanzo A sangue freddo alterna la presentazione della famiglia con quella dei due assassini dei Clutter, che vediamo approcciarsi alla dimora in un viaggio caotico per gli Stati Uniti. Non vediamo mai le loro storie davvero collidere, però, perché dopo che l’ultimo giorno dei Clutter ci viene mostrato e si apre la notte, cala anche il sipario, che viene sollevato soltanto quando i corpi, uccisi così, a sangue freddo, sono ritrovati, il mattino seguente.

Quello di Capote è un giallo sui generis perché, anche se io tento di mentenermi sul vago per non rovinarvi neanche la minima parte dell’esperienza della lettura, lui non lo fa. Già nel primo dei quattro lunghi capitoli di A sangue freddo conosciamo gli assassini della famiglia Clutter e quello che va indagato allora diviene: perché lo hanno fatto? E come?

Domande che trovano la risposta nel corso dei capitoli seguenti, che potremmo così scandire: fuga, cattura, processo. Un’inchiesta dal taglio giornalistico, quindi, con dati reali che Capote in effetti ha raccolto per il New Yorker per scrivere di questa raccapricciante storia che scosse gli Stati Uniti, tanto da spingere il brillante scrittore a recarsi sul posto con la sua amica Harper Lee, a intervistare tutti colori che anche solo tangenzialmente hanno preso parte agli eventi.

E Capote, cosa ne pensa?

Meraviglioso anche il cameo meta-letterario di Capote giornalista che, alla fine del romanzo, si reca a intervistare uno dei due accusati nella sua cella, definendosi “il giornalista che periodicamente andava a fargli visita”.

E giornalista Capote è rimasto fino alla fine. Nelle indagini che si svolgono nel romanzo A sangue freddo noi seguiamo lo sceriffo e i membri dell’unità dell’FBI KBI, ma seguiamo anche gli assassini, comprendendo – fino a un certo punto -i modi di fare e le motivazioni che spingono entrambi. Senza che mai vengano espresse preferenze nei confronti di un personaggio piuttosto che di un altro (tranne, forse, nella coppia di criminali, dove Capote chiaramente fa pendere l’ago della bilancia a favore di uno dei due fuggiaschi).

Ma nonostante questo il narratore, mantenendosi oggettivo, non si sbilancia mai, non fa mai pendere l’ago della bilancia a favore del bene o del male perché, in questo caso, sia il bene che il male terminano con la vita di qualcuno a cui viene posta fine. La pena di morte è davvero sotto processo in A sangue freddo, ma non è stato Capote a condannarla, saranno, eventualmente, i lettori.

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